AIDS memorial quilt_759x600

L’educazione sessuale attraverso il World AIDS Day

Di educazione sessuale non si parla facilmente. Ma esiste un giorno all’anno in cui tutto è possibile e tanto accade. Il Natale dell’informazione sul sesso sicuro cade l’1 dicembre, in occasione del WAD, il World Aids Day e dura per tutto il mese di dicembre.

Durante il WAD il mondo intero parla di prevenzione, di educazione sessuale e raccoglie fondi per la ricerca, ricordando che non solo l’AIDS esiste, ma che di AIDS si continua a morire. In quel giorno il mondo intero si rende conto che esiste, oltre all’AIDS, un centinaio di malattie sessualmente trasmesse da cui nessuno è immune e che basterebbe indossare un condom per prevenirle tutte. L’1 dicembre ci si racconta che l’educazione sessuale è necessaria a tutte le età, visto che non esistono categorie meno a rischio delle altre: a partire dai 13-14 anni, età media dei primi approcci al sesso, fino all’età della senilità, etero e gay di tutte le razze ed etnie sono ugualmente esposti alle malattie sessualmente trasmesse.  Fatta eccezione per Papilloma Virus (HPV), contro cui esiste un vaccino (che però copre solo dai quattro ceppi principali del virus), non esistono farmaci in grado di rendere immune un essere umano.

L’1 dicembre, nel giorno del fiocchetto rosso, tutto questo lo si racconta anche a scuola, fuori dalle università, nei cinema e in televisione, sui palchi dei comizi e a teatro, dentro e fuori dagli ospedali, nei musei nelle sedi di associazioni di promozione sociale e nei circoli culturali.

L’educazione sessuale attraverso il World AIDS Day: perché è così importante

Correva l’anno 1988 quando, durante il Summit mondiale dei ministri della sanità sui programmi per la prevenzione dell’AIDS, si decise di istituire il WAD, una giornata dedicata alla sensibilizzazione sull’AIDS, alla lotta allo stigma verso i malati di HIV, alla prevenzione e all’educazione sessuale. L’iniziativa, che poi negli anni è diventata anche la principale occasione per promuovere i test rapidi sulla diagnosi di HIV, è oggi adottata da governi, organizzazioni internazionali ed associazioni di tutto il mondo.

Dal 1991 il WAD, che si pone l’ambizioso obiettivo globale di porre fine all’Aids entro il 2030, ha per simbolo un nastro rosso. L’idea fu di un gruppo di 12 artisti, riunitisi in una galleria d’arte a New York in occasione di una mostra dedicata all’AIDS, che sfruttarono la suggestione, ancora recente, dei nastri gialli appesi agli alberi dai civili in segno di supporto ai militari americani durante la Guerra del Golfo.

Cosa accade durante il WAD

Preservativi gratis agli under 30, che rappresentano la fascia più colpita dalle nuove infezioni, test rapidi gratuiti sull’HIV, spot televisivi, installazioni nei centri città, mostre, workshop di carattere scientifico, mostre, concerti e dibattiti. Tutto per fare prevenzione, sensibilizzazione e smantellare stereotipi e pregiudizi nei riguardi delle persone sieropositive per liberarle dallo stigma sociale che grava su di loro.

Tra le iniziative simboliche più durature e coinvolgenti del WAD, c’è l’AIDS Memorial Quilt, che oggi misura quasi mezzo milione di metri quadri e pesa 54 tonnellate, anche se ad ogni edizione continua a crescere. Il quilt, che conta centinaia di pannelli di tutti gli stati americani e di altre nazioni del mondo, fa il giro degli USA e viene esposto per raccogliere fondi per la lotta all’AIDS.

L’educazione sessuale spiegata durante il WAD: è davvero sufficiente?

Basta davvero un giorno all’anno per fare educazione sessuale su AIDS e malattie sessualmente trasmesse?

Se ci dovessimo attenere ai dati diffusi ANLAIDS, che monitora le conoscenze dei ragazzi in materia di educazione sessuale dall’anno 2013-2014, probabilmente saremmo tutti d’accordo: NO, per quanto le iniziative siano meritevoli e di larga portata, un giorno all’anno per fare educazione sessuale non basta, e non basta nemmeno per dire stop all’AIDS, per fare prevenzione e fare in modo che quel malato su 5 che non sa di essere affetto da HIV, si renda consapevole del proprio stato.

I dati che ogni anno emergono dai sondaggi tra i giovani evidenziano lacune piuttosto importanti.

Il 67% dei giovani, pur essendo costretto a ricorrere al web per capirci qualcosa, si aspetta che a parlare dei rischi del sesso sia la scuola, mentre solo il 37% affiderebbe alla famiglia il compito dell’educazione sessuale. E così, piuttosto che informarsi cercando tra le fonti più attendibili, i giovani affidano al caso un aspetto della vita che, proprio durante l’adolescenza, diventa preponderante. L’81% dei giovani dichiara di usare il preservativo, ma il 50% di loro ammette di avere, di tanto in tanto, problemi: il condom si rompe, si sfila, si incastra, viene messo al contrario o tolto troppo presto. Spesso è ritenuto scomodo ed inefficace, perché della taglia sbagliata o perché infilato male e così, dopo i primi tentativi scoraggianti, in tanti abbandonano. Al rischio di una figuraccia preferiscono quello di una malattia, magari incurabile. E questo accade solo perché nessuno ha il buonsenso di camminare tra i banchi di scuola e insegnare loro come si deve fare.

Nel mondo si stimano oltre 340 milioni di nuovi casi di malattie sessualmente trasmesse all’anno, oltre all’Hiv, che attualmente colpisce altri 37 milioni di persone, con un’incidenza di 1,8 milioni di nuovi casi ogni 12 mesi.  Questo significa solo una cosa: che di WAD ne avremmo bisogno tutto l’anno, perché c’è ancora molto da fare per la diffusione di una cultura della prevenzione e della responsabilità sessuale.

Oggi a fare più paura di un virus sono il silenzio e l’ignoranza.  Solo combattendoli attraverso una corretta educazione sessuale, l’obiettivo “2030” non sembrerà più così impossibile.